Undici giocatori (e un allenatore) in cerca di identità. Fiorentina e Palladino, il tempo scorre
Non sta vivendo giorni felici la Fiorentina. Dopo la prima vittoria stagionale con la Lazio, la partita di Empoli era fondamentale per capire se il risultato positivo coi biancocelesti potesse essere la svolta attesa, riuscendo finalmente a sbloccare i viola dopo un avvio di stagione complicato.
Così non è stato. Non tanto per il pareggio in sé in uno stadio ultimamente diventato molto insidioso – la Fiorentina non vince al Castellani addirittura dal 2016 – quanto per come è arrivato. Palladino è passato al 4-2-3-1 visto nel secondo tempo con la Lazio, ma il cambio di modulo non ha sortito gli effetti sperati.
Di buono c’è che Ranieri e compagni hanno sofferto pochissimo in fase difensiva (anche se c’è da chiedersi dove arrivino i meriti della Fiorentina e dove inizino i demeriti dell’Empoli), ma non hanno proposto praticamente nulla in fase offensiva, facendo addirittura un passo indietro rispetto alle precedenti uscite.
La Fiorentina è una squadra ancora alla ricerca della propria identità. E la partita con l’Empoli dimostra che non basta scegliere questo o quel sistema di gioco per trovarla magicamente. Il gioco dei viola passa troppe volte dalla palla lunga su Kean (o anche su Kouame nella versione vista al Castellani).
Soluzione che può far comodo, visto quanto è bravo l’attaccante italiano a lottare contro i difensori avversari, ma non può essere la principale soluzione di gioco. Una critica simile la si faceva ai cross di Biraghi nelle peggiori versioni della Fiorentina di Italiano.
Questa Fiorentina, però, sembra avere le idee meno chiare. Molto meno, se la paragoniamo all’impressione che dava quella di Italiano al primo anno a Firenze. A questo poi si aggiungono le parole di Kouame dopo Empoli. Forse l’ivoriano poteva risparmiarsele, parlando solo con la squadra dentro lo spogliatoio – cosa che avrà certamente fatto – e non davanti alle telecamere.
Tuttavia, a prescindere da come la si pensi, sono dichiarazioni che suggeriscono che qualcosa là dentro scricchiola, in un gruppo che è cambiato tanto e che ancora non è del tutto unito. Non che per vincere serva uno spogliatoio di grandi amici, ma è fondamentale che tutti remino dalla stessa parte.
Episodi come quello di Gudmundsson con Cataldi per la punizione, dopo quanto accaduto la settimana scorsa con Kean in occasione del secondo rigore, non sono bei segnali, sebbene all'apparenza si tratti di cose di poco conto. Palladino deve intervenire anche su questo aspetto.
Il tempo avanza, i risultati faticano ad arrivare e per l’allenatore viola è fondamentale trovare qualche altro punto fermo che porti a una risalita. In questo periodo può aiutare la Conference League, che soprattutto in questa prima fase è una competizione di livello davvero modesto.
Non fanno eccezione The New Saints, squadra gallese che domani la Fiorentina affronterà al Franchi, per il primo di sei incontri nella nuova formula a girone unico. Previsto un ampio turnover, anche perché la difesa è totalmente da inventare viste le squalifiche di Quarta, Ranieri e Comuzzo e le difficoltà fisiche di Pongracic.
Tuttavia, la Conference per i viola è una grande occasioneper ritrovare convinzione nei propri mezzi e affrontare con un altro morale il Milan. Attenzione però: contro squadre di questo livello il pericolo principale è quello del sottovalutare l’avversario, pericolo nel quale la Fiorentina negli anni scorsi è incappata più volte.
Ma anche poche settimane fa, contro la Puskas Akademia, quando ci sono voluti i calci di rigore per superare il turno preliminare. La Fiorentina di Palladino finora ha convinto solo a sprazzi. Tante sono state le novità da assimilare: una rosa stravolta, un sistema di gioco molto differente, tanti calciatori difficili da incastrare tra loro.
Ma ora il tempo stringe. I risultati devono cominciare ad arrivare, perché Firenze è una piazza notoriamente poco paziente. Per arrivare a una continuità di risultati, è essenziale trovare un’identità di squadra che finora non si è vista.
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